Il blog di Rosanna Spinazzola

mercoledì 6 luglio 2016

La gilda delle Mani Nere (o degli scrittori)

[Suggerimento musicale per la lettura: Ludovico Einaudi_Divenire]



"Appoggi piede contro piede, scudo a scudo
il cimiero al cimiero, l'elmo all'elmo,
s'accosti, petto contro petto, e lotti col nemico 
brandendo l'elsa della spada o l'asta."
Tirteo, guerriero spartano



Ho avuto una intuizione mentre lavavo i pavimenti. Mi accade spesso. 
Non di lavare i pavimenti, ma di avere intuizioni nei momenti di fatica fisica, in barba agli asceti e ai mistici puri.
Questa intuizione, dicevo,  è saltata fuori da un ricordo. 
Mentre strizzavo lo straccio - chissà se esiste un collegamento - mi è tornata alla mente una bellissima intervista fatta ad Alan Moore[1] nel dettaglio un piccolo passaggio, quello di quando dice - e lo riporto a parole mie, l’intervista completa la trovate qua - che gli scrittori che ci hanno preceduti formano tutti insieme, travalicando i limiti di spazio e di tempo, una sorta di famiglia, una comunità. 
Remember that this tradition is glorious and noble, remember all the men and women who have accomplished things before you. That is the company, that you are hoping to keep
Una gilda, mi permetto di specificare io. 
Non è la prima volta che ripenso a questo concetto. Mi è già capitato. 
Soprattutto, mi torna in mente ogni volta che mi sento bloccata e il mio caro, vecchio Censore - di cui ho scritto qui - acquisisce forza, a discapito della mia scrittura. 
In quei momenti, ripenso a questa “gilda”.
Rifletto sul fatto che in quel preciso istante, in questo preciso istante, ovunque nel mondo - al netto dei fusi orari, ça va sans dire - altre decine, centinaia, ma che dico: migliaia di scrittori sono seduti a una scrivania, a scrivere.
L’immagine mi strappa sempre, sempre, sempre un sorriso. 
N.Gaiman scrive spesso a mano con penne stilografiche
Con gli occhi della mente vedo Neil Gaiman che butta giù con la penna stilografica su uno dei soliti taccuini neri la sua prossima storia.
George R. R. Martin che si dispera davanti a un monitor bianco, lottando contro i suoi dubbi - come lui stesso ha affermato di fare, nonostante i suoi successi, nella parte finale di questo video dove intervista Stephen King. Lo stesso King che digita forsennatamente sulla tastiera del pc al suono della sua amata musica Metal, chiuso nel suo studiolo al secondo piano della sua villa nel Maine. O, senza andare lontano, i miei colleghi conosciuti durante il NaNoWriMoSerena Bianca De MatteisEster Manzini e tanti altri alle prese con una nuova opera. 
Tutti insieme, appassionatamente, compresi quelli che non ci sono più: Charles Dickens, Fëdor Dostoevskij, Louisa May Alcott, Jack Kerouac, Umberto Eco, Gabriel García Márquez, Virginia Woolf e ancora e ancora, e tutti quelli di cui, vivi o morti, non conosco il nome, che non hanno mai pubblicato o che scrivono in lingue a me incomprensibili. 
Tutti lì, testa bassa, a infilare una parola dietro l’altra. A combattere, come scrive Steven Pressfield nel suo saggio “The War of Art”, come guerrieri questa vera e propria guerra, senza esclusione di colpi. 
Una lotta che è insieme con se stessi e con il mondo esterno.
Una guerra contro i pregiudizi, gli errori, la mancanza di tempo, i rimpianti e i rimorsi, la scarsa autostima, le bollette, l’età, le aspettative altrui, il ritiro costante di un lavoro solitario; insomma: l’abisso arcano e doloroso che precede qualsiasi atto creativo, compreso il parto, il più antico, naturale e necessario di tutti.
Una lotta che diventa logorante nella seconda fase della prima stesura che io, mutuando un termine dall'Opera alchemica, chiamo Nigredo - e di cui ho scritto qui.
La scrittura è una questione di autostima. 
Dubitare di se stessi, del proprio valore, delle proprie capacità, pensieri, sentimenti, non aiuta di certo l’atto di esprimersi.
A chi interesserà mai quello che ho dentro?
A chi importerà leggere questa storia che è venuta a me in modi inaspettati - e sacri, io credo - e che mi affanno così tanto a rendere leggibile?
Ci vuole molta forza di carattere per trovare la costanza di rimanere seduti, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, alla stessa sedia, nel disperato tentativo di rendere intelligibili le figure confuse che si accavallano senza tregua nel proprio animo.
Per cercare di rendere nella corrotta forma scritta la perfezione delle visioni che si intravedono, come labili barlumi, dentro di noi.
Io non so se scrittori si nasca o si diventi.
Credo che siano possibili entrambi gli scenari.
Alcuni lo sono naturalmente e, nati sotto una buona stella, seguono la corrente sulla quale si trovano scivolando con naturalezza e grazia tra le onde.
Altri decidono di esserlo e, malgrado condizioni avverse, lottano e combattono in mare aperto contro i marosi e le tempeste reggendo saldamente il timone.
Le due situazioni non si escludono nemmeno vicendevolmente e, per alcuni, le cose si intrecciano in forme originali e sempre diverse.
Per quanto possano trattare lo stesso genere, avere la stessa cifra, stile o carattere simili, due scrittori non si assomigliano più di quanto non lo facciano  due fiocchi di neve.
Ognuno ha una storia propria, un percorso, un sogno, un obiettivo differenti.
In qualsiasi quantità siano mescolati questi ingredienti, e nonostante la varietà dei sapori e delle forme, una sola cosa è certa: tutti gli scrittori, indistintamente, hanno creduto, in un modo o nell’altro, nella propria visione, seguendola senza badare al prezzo da pagare, alla fatica, ai conflitti quotidiani o all'eremo volontario di questo lavoro solitario.
Aristotele diceva: “noi siamo quello che facciamo ripetutamente. Perciò l’eccellenza non è un’azione, ma un’abitudine”. 
E se uno scrive tutti i giorni, pubblicato o meno, noto o meno, valevole - per la maggiore - o meno, allora è uno scrittore. 
Quel qualcuno ha raccolto la sfida e, intrepido, ha inseguito quella visione come un cacciatore che insegue la sua preda dalla quale dipende la sua sopravvivenza.
Perciò mi rivolgo a chiunque legga questo articolo e si riconosca in queste parole, mentre scrolla verso il basso la pagina con le dita sporche di inchiostro, come le mie.
Sei nella mia squadra. 
Chiunque tu sia, per qualsiasi ragione tu lo faccia - gioia, disperazione, sfida, necessità, divertimento, rivalsa, vocazione, impeto di follia e chi più ne ha più ne metta - voglio che tu sappia che ti comprendo dal profondo del mio cuore e che, nonostante il silenzio nel quale sei immerso - probabilmente proprio in questo stesso momento - e la solitudine che accompagna questo lavoro, non sei solo, perché io combatto accanto a te. 
Tu e io, insieme ai fantasmi di coloro che ci hanno preceduti e a tutti gli altri scrittori viventi su questo meraviglioso e terribile pianeta che, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, combattono questa guerra.
Siamo la gilda delle Mani Nere, e siamo invincibili. 

  Un giorno imparerò a caricare le mie penne senza sporcarmi.
Ma non è questo.

[1] : se vi piace Alan Moore, non perdete questa lunghissima e splendida intervista, sottotitolata in italiano 



mercoledì 9 dicembre 2015

La prima stesura di un romanzo e L' Opera al nero alchemica

[Suggerimento musicale per la lettura: The crow_soundtrack]


Questi primi, gelidi giorni di Dicembre mi si stanno snocciolando sul calendario uno dietro l’altro sotto l’egida del Corvo.
A dire il vero, è da ottobre che il Corvo mi si è appollaiato su una spalla, e mi gracchia nell’orecchio con quel suo verso così dolce.
Il punto è che, con mio grande disappunto, che temo dovrò sorbirmi il suo gracchiare per altri mesi. Forse per tutto l’inverno.

CORVO IMPERIALE - Raven - Corvus corax - Luogo: Cogne (AO) - Autore: Alvaro
Ogni tanto mi piace trovare parallelismi tra quello che faccio e l’alchimia. Un’abitudine indegnamente mutuata da Jung (anch’egli sovente co-protagonista dei miei post) e dalla lettura entusiasta del suo Psicologia e alchimia[1]
In questo saggio lo psichiatra svizzero prova a spiegare come le fasi attraverso le quali avviene l'opus alchemicum corrispondano a quelle del “processo di individuazione”, cioè quel processo nel quale si prende consapevolezza della propria individualità e si scopre la propria vera essenza interiore.
Jung approfondì successivamente questa interessantissima tesi in Psicologia del transfert (1946), Saggi sull'alchimia (1948) e nel Mysterium Coniunctionis (1956).

Quando la sciatica mi costringe a letto, soprattutto con la canicola estiva, mi consolo con letture leggere

Dicevo: ogni tanto mi capita di riconoscere concetti che collegano la scrittura a quella paccottiglia di conoscenze mistico-esoteriche che mi ritrovo, mio malgrado, in testa per aver divorato parecchi libercoli su tali argomenti. Spesso, di pessima qualità e dubbio contenuto, devo riconoscerlo, ma talvolta forieri di pietre focaie utili a far brillare qualche piccola, debole e fugace scintilla di intuizione.
Abitualmente, non dedico spazio scritto a queste mie congetture, che rimangono nel mondo iperuranico delle (mie) idee, ma di tanto in tanto ho fatto qualche strappo alla regola, come ad esempio in questo articolo sulle quattro parole del mago e la creazione artistica.

Così, dimostrando grande coerenza, strappo di nuovo la regola che mi sono data io stessa, e scrivo (poche righe, lo prometto), sui tre stadi in cui la “materia prima” (l’idea di una trama) mescolata a un cucc.no di zolfo, ½ l. di mercurio e un pizzico di sale, e riscaldata a fuoco vivace nella padella dell’atanor, si trasforma nella pagnotta filosofale.
E qualcuno si starà chiedendo, cosa diamine c’entra questo con la scrittura?
C’entra, c’entra.
Questi stadi (i principali sono tre) prendono il nome dal colore che la materia assume man mano che trasmuta.

All’inizio, quando la materia si dissolve, putrefacendosi, abbiamo La Nigredo (Opera al nero, rappresentata da un Corvo). Poi, la stessa passa alla fase successiva, in cui si purifica sublimandosi, chiamata Albedo (Opera al bianco, rappresentata da un Cigno), fino a quando non si ricompone e si fissa in una nuova struttura, migliore, che è la Rubedo (Opera al rosso, rappresentata da una Fenice).

Ora, io sfido qualsiasi scrittore a non raccontare la propria esperienza di scrittura e stesura di un romanzo che non passi da tutte e tre queste fasi.

Prima stesura.
Arriva un’idea, o un personaggio. Le/gli si appicciano sopra un paio di ostacoli, e si prova a immaginare come si può sviluppare/reagisce. Si abbozza una trama. Si iniziano a vomitare parole a caso, una dietro l’altra. E man mano che si procede, il personaggio prende vita, acquisisce spessore, vive di vita propria e sceglie cose che tu scrittore non ha previsto. Così, la struttura iniziale, si modifica. Spesso, dopo uno o due mesi di scrittura, i personaggi sembrano un po’ appassire. La trama non ci sembra più tanto coerente e, di pari passo, la nostra determinazione inizia a cedere. Sì, insomma, come scriveva Anton Čechov “Qualsiasi idiota può superare una crisi. È il quotidiano che ci logora”.
Continuare a scrivere nonostante le idee che si dissolvono e la nostra determinazione inizi a odorare di stantio, non è facile, e richiede una certa presenza di spirito. Le visioni che abbiamo in testa, che sembravano così brillanti o divertenti o drammatiche, sbiadiscono. Anzi, meglio: si dissolvono, putrefacendosi.
Eccola qui, l’Opera al Nero.
Eccola, la prima stesura di una trama, inizialmente lucidata a dovere e strutturata in un certo modo, che non ha proprio voglia di stare lì ferma e rigida, e si ribella stiracchiandosi e agitandosi.
Lo scrittore inesperto non lo aveva previsto e la sua volontà inizia a cedere sotto i colpi impietosi, ma ahimé inesorabili, della Nigredo.
Come dice Neil Gaiman: “Tutti sono capaci di iniziare un romanzo. Se sei uno scrittore, puoi anche finirlo”. È proprio a questo punto che, i più, abbandonano.
La nostra prima stesura muove i suoi traballanti passi sotto le ali del Corvo, tra i miasmi putrescenti della Nigredo.

Arrivare fino alla fine richiede qualità interiori sulle quali il buon Jung ha sprecato parecchi etti di carta.

Durante la revisione (seconda fase), il testo si sfoltisce. Si tagliano le parti noiose (si spera), si snelliscono i personaggi e si alleggeriscono le scene. Anche la sintassi perde le zavorre dei pensieri confusi della prima fase oscura. Si decide di riscrivere qualche parte (a volte interi capitoli) e di tagliare/aggiungere personaggi, dialoghi, o cambiare la voce narrante.
È l’Albedo. La revisione ha (o meglio, dovrebbe avere) il candore del Cigno.

E infine, ciò che si è deciso durante la purificazione della “materia prima” (la nostra storia, le nostre idee), viene fissato di nuovo, nella seconda stesura (ma facciamo anche nella terza, quarta, eccetera eccetera).
La trama si fissa, e ogni cosa trova il suo posto. L’idea iniziale non sembra così orrenda, con questo nuovo vestitino e il fiocco tra i capelli. Anzi: pare anche graziosa.
La seconda stesura è la Rubedo. La Fenice risorge dalle sue ceneri.

Sarà bello quel momento, ma non è oggi.
Oggi, ho il pennuto nero che mi artiglia la spalla e gracchia il suo verso stridulo dentro l’orecchio e dritto fino al cranio.
È in momenti come questi che fatico a non rinnegare la mia scelta etica vegetariana, resistendo per non mettergli le mani al collo e strozzarlo.   
Non posso. È una fase obbligata e necessaria.
Devo soltanto resistere.

Giungerà il candido Cigno scivolando sulla pelle dell’acqua. Giungerà, con tutti i suoi problemi, le ansie da revisione e le insicurezze che si trascina dietro.
Oh, giungerà. Ma non è questo il giorno.
E dopo di lui, sorgerà la Fenice, con la sua disperata resistenza e il suo fulgore dorato striato di rosso.
Sorgerà, ma non è questo il giorno.

Uno dopo l’altro verranno a dare il cambio al Corvo.

E poi?
E poi niente, si ricomincia.
La Grande Opera non è nel risultato, ma soltanto nell’opus. Appunto.

Lui disapprova la procrastinazione.
E adesso scusate, ma devo proprio lasciarvi. Devo dar da mangiare al pennuto: un migliaio di parole almeno, o non la smetterà più di gracchiare.






[1] Jung Carl G, Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri (2006, XIV-552 p., ill., brossura)

domenica 29 novembre 2015

"Come and See. You have the key" (India. Photobook. Photojournalism. Children. Noprofit.)

                  [Suggerimento musicale per la lettura. Ennio Morricone: The Mission]

Pur praticando la Meditazione Universale della Scuola della Spiritualità, derivata dalla tradizione radhasoami della Sant Mat induista, non ho mai visitato nemmeno un tempio, o  passeggiato per le strade dell’India, nei suoi colori e tra la sua gente.

Ma ho un caro amico che ci è stato.
Si chiama Leo Fabbrizio, e ha una passione per i viaggi e la fotografia (è lui che mi ha fatto queste foto con il maestro Tonino e il Bibliomotocarro).

Una sera di Agosto mi ha raccontato di aver visitato il più grande Slum di Mumbai, nel Dharavi, per mezzo dell’associazione “Reality Gives” che, grazie a questo tour, raccoglie i fondi per promuovere iniziative a favore dei bambini svantaggiati che abitano lì.

Davanti a una tazza di tè ghiacciato, Leo mi ha raccontato quello che ha visto e vissuto e provato in quel viaggio straordinario.
Mi ha fatto vedere le foto che aveva scattato, mentre mi descriveva le loro povere condizioni di vita. Soprattutto, mi ha parlato dei bambini, dei loro sorrisi e dei loro occhi, brillanti come diamanti nella polvere.
Sono andata via da casa sua molte ore dopo, turbata e commossa.

È per questo che quando, qualche mese dopo, mi ha chiesto una mano per realizzare un progetto di crowdfunding e contribuire pragmaticamente a migliorare le cose, non ho potuto rifiutare. Insieme a un grafico e una traduttrice, ho aiutato con quello che so fare meglio: scrivere.

In una manciata di incontri  a distanza su Skype con gli altri “membri della squadra”, altrettante telefonate, messaggi su WhatsApp e brainstorming dal vivo, l’idea ha preso forma.

Ora il progetto è on line, sulla piattaforma Indiegogo.
Si chiama “Come and See. You have the Key”.
     A questo link puoi trovare tutte le informazioni.
     Qui la pagina facebook.

Se sei arrivato a leggere fin qui, e magari hai intenzione di sbirciare di là nella pagine di Indiegogo per capire di cosa si tratta e, come me, hai sentito anche solo per un attimo che sarebbe piaciuto anche a te riuscire a far brillare due occhi e un sorriso nella polvere, ti do una buona notizia.
Puoi farlo.
Puoi contribuire.
Anche solo con un euro puoi fare la differenza.

Per Natale, regalati qualcosa di importante. Regalati il sorriso di un bambino.
Non c’è gioiello più bello che tu possa indossare, né indumento più caldo.

Aiutami a condividere questo link.
Grazie.

Credits Leo Fabbrizio photographer