[Suggerimento musicale per la lettura. Tchaikovsky: Il Valzer dei Fiori, da Lo Schiaccianoci]
Devo ammettere che da appassionata di fiabe quale sono, raggiunta l’età della ragione, non ho mai apprezzato pienamente il lavoro dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm.
Devo ammettere che da appassionata di fiabe quale sono, raggiunta l’età della ragione, non ho mai apprezzato pienamente il lavoro dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm.
Mi spiego meglio: il loro valore è assolutamente
incontrovertibile, la raccolta dei racconti popolari tedeschi encomiabile e la
loro dedizione ammirevole. Purtuttavia, i cambiamenti apportati alle fiabe che
raccoglievano, in termini di eliminazione di ogni riferimento sessuale
implicito o esplicito, sono talmente invasivi da essere secondi solo allo
scempio che compì Perrault sulle fiabe popolari, adattandole (ma diciamo pure stravolgendole) al manierismo della corte francese alla
quale erano destinate.
Jacob e Wilhelm Grimm |
Per non menzionare l’orrore (ma qui i fratelli non c’entrano
nulla) della traduzione inglese, dalla settima edizione in poi, dei loro
racconti, che risultava epurata anche da ogni riferimento che oggi definiremmo noir.
Poi, certo, c’è quel pizzico di campanilismo che mi spinge a
contestare la paternità tedesca o francese della fiaba di Cenerentola: la Gatta Cenerentola di Giambattista Basile
nel suo Lu cunto de li cunti merita
almeno una citazione, per la miseria (tanto più che la elaborò prendendola da
lì), per non parlare de La bella addormentata.
Ma forse sono questioni di lana caprina: le fiabe
appartengono all’intera umanità ed è insito nella loro natura il perdere
qualcosa lungo il corso dei tempi per inglobare nuovi elementi che le
mantengano vive in eterno (forse, ma a me la scarpa di cristallo inventata da Perrault proprio continua a non
andarmi giù).
Le fiabe sono, secondo la mia modesta opinione di studiosa e
appassionata, come sosteneva il formalista russo Propp, l’ultimo baluardo degli
antichi riti di passaggio dall’età puberale a quella adulta che i ragazzi compivano
al compimento della maggiore età (che all’epoca si aggirava intorno ai dodici
anni).
Alcuni testi letti per la mia tesi |
L’analisi che lo psicologo infantile Bruno Bettelheim, nel
suo libro Il mondo incantato, condusse sulle fiabe dei Grimm lo portò ad affermare che esse altro non fossero che una
analisi, con annessa soluzione, di problemi esistenziali infantili. Ma lui era
psicologo, si sa, e per di più freudiano. La sua tesi, seppur interessante, mi
pare un po’ tirata per i capelli: non nego che essa abbia in sé della verità,
ma in aggiunta a quella formalista,
non a prescindere da essa.
Le fiabe sono narrazioni
di riti e credenze molto, molto antiche e, per
questo, offrono soluzioni alla psiche umana in lotta con la dura legge
della natura.
Riaffiorano analisi condotte sulla mia tesi di laurea sui
Miti, i Riti e le Fiabe e mi viene voglia di citare Calvino, Eliade,Yeats e Afanas'ev,
tanto per dirne alcuni, anzi no: sarebbe interessante riportare Jung e Campbell
e Il Mahābhārata o forse potrei partire da Lemille e una notte e dall’Edda di
Snorri.
Ma io divago. Torniamo a noi.
Estate, giallo, afa: mia cognata mi telefona (lei insegna
tedesco alle superiori); c’è un concorso piccolo ma pregevole bandito dal Goethe-Institut.
Si chiama “Momenti da favola”: basta comporre una fiaba non più lunga di tre
frasi su quello che si ritiene essere il momento della giornata (o della vita)
che più si avvicina a una favola, per celebrare l’uscita, duecento anni fa
oggi, nel 1812, della prima edizione delle Favole dei Fratelli Grimm. Primo
premio: un fine settimana in Germania. Secondo: gadget e pubblicazione sul sito.
Ci penso, ringrazio, abbasso la cornetta.
Estate, giallo, afa: qual è il momento che rende la mia
giornata una favola? Ci penso un nanosecondo, credo. Forse meno. Abbasso lo
sguardo sul quaderno che ho davanti, prendo la penna, ci penso qualche minuto.
Scrivo, cancello, riscrivo. Non mi piace. Riscrivo e taglio. Mi faccio un
caffè, mi risiedo e riscrivo la parte tagliata.
Ecco il mio momento da favola:
Una porta si apre:
sulle pagine si scontrano parole, dietro gli occhi esplodono galassie. L’anima,
sporgendosi per guardare meglio, ci precipita dentro. Tutti lo chiamano
leggere, io lo chiamo tornare a casa.
Invio per mail e non ci penso più. Dopo qualche tempo, mi
avvisano che la mia mini favola è seconda, insieme a qualche altra ex equo.
I gadget del Goethe-Institut |
Il mio nome, insieme a quello degli altri vincitori, è pubblicato
sul sito www.goethe.de/grimmland nella pagina dedicata al concorso “Momenti da
favola”. Due settimane dopo ricevo un pacco: borsa, quaderni, blocknotes,
magliette e perfino un gioco di società.
Il fine settimana a Berlino mi sarebbe piaciuto, ma questa
organizzazione tedesca non mi dispiace. In fin dei conti, ho il mio nome
accanto a quello dei fratelli Grimm, sul sito almeno. E’ vero, non li idolatro,
ma sono pur sempre coloro che scrissero il primo Dizionario di tedesco al
mondo! La stima, c’è, e in un certo qual modo anche un tenero, singolare
affetto.
Cos’altro importa?
Letti tutti. Avresti dovuto vincere a mani basse, e invece ha trionfato il giulebbe del buonismo, tra dementi, malati e moribondi. Beh, è successo un po' quello che è successo alle fiabe, no?
RispondiEliminaUhm. Diciamo che non ci sono molti "sforzi letterari" stilistici tra i vincitori. Sul contenuto non discuto: ognuno ha le proprie priorità (scusa l'inestesimo dei due termini accostati, ma tant'è, rimaniamo in tema).
RispondiEliminaBella conclusione, Leo!
RispondiEliminaIo mi limito a brindare (con un tè, in tempo reale) al tuo bell'argento, Rosanni'. Che poi, come metallo, mi piace molto più dell'oro. ;)
Il Goethe-Institut, mica bruscolini.
Grazie Simo :)
RispondiEliminaDev'essere una tradizione, una legge non scritta, questa di percepire il bello lì dove non c'è. Oltre alla tua, le mini-favole che non hanno vinto sono veramente belle. Ce ne sono alcune che fanno commuovere per davvero.
RispondiEliminaComunque. Complimenti vivissimi! =)
Grazie Leonardo!
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