Il blog di Rosanna Spinazzola

mercoledì 19 settembre 2012

C'era una volta, a Grimmland... ovvero Momenti da favola del Goethe institut


[Suggerimento musicale per la lettura. Tchaikovsky: Il Valzer dei Fiori, da Lo Schiaccianoci]

Devo ammettere che da appassionata di fiabe quale sono, raggiunta l’età della ragione, non ho mai apprezzato pienamente il lavoro dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm.

Mi spiego meglio: il loro valore è assolutamente incontrovertibile, la raccolta dei racconti popolari tedeschi encomiabile e la loro dedizione ammirevole. Purtuttavia, i cambiamenti apportati alle fiabe che raccoglievano, in termini di eliminazione di ogni riferimento sessuale implicito o esplicito, sono talmente invasivi da essere secondi solo allo scempio che compì Perrault sulle fiabe popolari, adattandole (ma diciamo pure stravolgendole) al manierismo della corte francese alla quale erano destinate. 

Jacob e Wilhelm Grimm
Per non menzionare l’orrore (ma qui i fratelli non c’entrano nulla) della traduzione inglese, dalla settima edizione in poi, dei loro racconti, che risultava epurata anche da ogni riferimento che oggi definiremmo noir.
Poi, certo, c’è quel pizzico di campanilismo che mi spinge a contestare la paternità tedesca o francese della fiaba di Cenerentola: la Gatta Cenerentola di Giambattista Basile nel suo Lu cunto de li cunti merita almeno una citazione, per la miseria (tanto più che la elaborò prendendola da lì), per non parlare de La bella addormentata.

Ma forse sono questioni di lana caprina: le fiabe appartengono all’intera umanità ed è insito nella loro natura il perdere qualcosa lungo il corso dei tempi per inglobare nuovi elementi che le mantengano vive in eterno (forse, ma a me la scarpa di cristallo inventata da Perrault proprio continua a non andarmi giù).


Le fiabe sono, secondo la mia modesta opinione di studiosa e appassionata, come sosteneva il formalista russo Propp, l’ultimo baluardo degli antichi riti di passaggio dall’età puberale a quella adulta che i ragazzi compivano al compimento della maggiore età (che all’epoca si aggirava intorno ai dodici anni).

Alcuni testi letti per la mia tesi

L’analisi che lo psicologo infantile Bruno Bettelheim, nel suo libro Il mondo incantato, condusse sulle fiabe dei Grimm lo portò ad affermare che esse altro non fossero che una analisi, con annessa soluzione, di problemi esistenziali infantili. Ma lui era psicologo, si sa, e per di più freudiano. La sua tesi, seppur interessante, mi pare un po’ tirata per i capelli: non nego che essa abbia in sé della verità, ma in aggiunta a quella formalista, non a prescindere da essa.


Le fiabe sono narrazioni di riti e credenze molto, molto antiche e, per questo, offrono soluzioni alla psiche umana in lotta con la dura legge della natura.



Riaffiorano analisi condotte sulla mia tesi di laurea sui Miti, i Riti e le Fiabe e mi viene voglia di citare Calvino, Eliade,Yeats e Afanas'ev, tanto per dirne alcuni, anzi no: sarebbe interessante riportare Jung e Campbell e Il Mahābhārata o forse potrei partire da Lemille e una notte e dall’Edda di Snorri.

Ma io divago. Torniamo a noi.

Estate, giallo, afa: mia cognata mi telefona (lei insegna tedesco alle superiori); c’è un concorso piccolo ma pregevole bandito dal Goethe-Institut. Si chiama “Momenti da favola”: basta comporre una fiaba non più lunga di tre frasi su quello che si ritiene essere il momento della giornata (o della vita) che più si avvicina a una favola, per celebrare l’uscita, duecento anni fa oggi, nel 1812, della prima edizione delle Favole dei Fratelli Grimm. Primo premio: un fine settimana in Germania. Secondo: gadget e pubblicazione sul sito. Ci penso, ringrazio, abbasso la cornetta.

Estate, giallo, afa: qual è il momento che rende la mia giornata una favola? Ci penso un nanosecondo, credo. Forse meno. Abbasso lo sguardo sul quaderno che ho davanti, prendo la penna, ci penso qualche minuto. Scrivo, cancello, riscrivo. Non mi piace. Riscrivo e taglio. Mi faccio un caffè, mi risiedo e riscrivo la parte tagliata.
Ecco il mio momento da favola:

Una porta si apre: sulle pagine si scontrano parole, dietro gli occhi esplodono galassie. L’anima, sporgendosi per guardare meglio, ci precipita dentro. Tutti lo chiamano leggere, io lo chiamo tornare a casa.

Invio per mail e non ci penso più. Dopo qualche tempo, mi avvisano che la mia mini favola è seconda, insieme a qualche altra ex equo.

I gadget del Goethe-Institut

Il mio nome, insieme a quello degli altri vincitori, è pubblicato sul sito www.goethe.de/grimmland nella pagina dedicata al concorso “Momenti da favola”. Due settimane dopo ricevo un pacco: borsa, quaderni, blocknotes, magliette e perfino un gioco di società.


Il fine settimana a Berlino mi sarebbe piaciuto, ma questa organizzazione tedesca non mi dispiace. In fin dei conti, ho il mio nome accanto a quello dei fratelli Grimm, sul sito almeno. E’ vero, non li idolatro, ma sono pur sempre coloro che scrissero il primo Dizionario di tedesco al mondo! La stima, c’è, e in un certo qual modo anche un tenero, singolare affetto.

Cos’altro importa?



6 commenti:

  1. Letti tutti. Avresti dovuto vincere a mani basse, e invece ha trionfato il giulebbe del buonismo, tra dementi, malati e moribondi. Beh, è successo un po' quello che è successo alle fiabe, no?

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  2. Uhm. Diciamo che non ci sono molti "sforzi letterari" stilistici tra i vincitori. Sul contenuto non discuto: ognuno ha le proprie priorità (scusa l'inestesimo dei due termini accostati, ma tant'è, rimaniamo in tema).

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  3. Bella conclusione, Leo!
    Io mi limito a brindare (con un tè, in tempo reale) al tuo bell'argento, Rosanni'. Che poi, come metallo, mi piace molto più dell'oro. ;)
    Il Goethe-Institut, mica bruscolini.

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  4. Dev'essere una tradizione, una legge non scritta, questa di percepire il bello lì dove non c'è. Oltre alla tua, le mini-favole che non hanno vinto sono veramente belle. Ce ne sono alcune che fanno commuovere per davvero.
    Comunque. Complimenti vivissimi! =)

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